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di Davide ”inchiostro nero” Cautiero

E’ il 1982, Carpenter dirige ‘’La cosa’’, adattando il racconto fantascientifico di John W. Campbell ‘’Who Goes There?’’, rielaborato cinematograficamente a sua volta da Howard Hawks trentun anni prima.
Siamo in Antartide, dove il clima glaciale non è certo quello di adesso. Un clima freddo, rigido, implacabile, che farà da sfonfo a un thriller piscologico in gran stile, pur delineandosi come horror-splatter.
Difatti, la creatura di Carpenter non segue uno schema narrativo lineare, dove l’entità-mostro è l’unico pericolo al quale scampare. Ma la base intera della sceneggiatura, del suo script, si fonda sul sospetto, sugli aspetti paranoici che esercita.
Sono gli esseri umani gli autentici protagonisti, nonché i veri antagonisti della pellicola, in quanto intrappolati in un’ambigua diffidenza che li porterà a dubitare di ciascuno di loro.
Con il pretesto di un’essenza aliena in grado di assumere le sembianze di chi fagocita e ingloba, Carpenter descrive la condizione umana utilizzando una metafora grottesca e sottile. Un traslato che si può riscontrare anche nelle idiosincrasie odierne, esacerbate da questo virus che sta sconvolgendo le nostre vite.
Come nel film di Carpenter, vediamo nell’altro il virus, La cosa, e non più il vicino, l’amico, o il semplice passante.
Un’atavica paura che sgretola la nostra coscienza frammentandola in ragione e in puro istinto di sopravvivenza.
Un timore ancestrale che ci impedisce di comprendere che in fondo siamo noi per il pianeta una sorta di morbo, di piaga che sta annichilendo le sue risorse naturali.
Forse da tutto questo dovremmo imparare a rispettare le leggi della natura, e non solo quelle che detta l’uomo per i suoi scopi. Cercare di non essere, per chi da millenni ci accoglie nel suo grembo, un ospite indesiderato come La cosa.